Pensando alla vita di San Giacomo non si può non rimanere stupiti dal disegno che il Signore ha creato. San Giacomo dopo la morte in croce di Gesù era andato in Spagna per evangelizzare quella terra così lontana, ai confini del mondo conosciuto. L’opera di evangelizzazione produsse pochissimi risultati e San Giacomo tornò in Terra Santa dove morì come primo Apostolo martire. Il suo corpo venne portato da alcuni discepoli nella penisola iberica per la sepoltura e dopo quasi mille anni la sua tomba ha iniziato a divenire meta di un pellegrinaggio che si è trasformato in un fiume in piena sempre più gonfio. E’ la conferma fortissima dell’importanza del seme della testimonianza che germoglia anche dopo tempi inaspettati e anche nei luoghi più aridi. E’ l’immagine sempre viva del deserto, tante volte richiamato nella Bibbia, come luogo in cui si trova la forza della vita e della fede. Il Cammino di Santiago è, a mio avviso, la “versione” Europea del deserto biblico. I tanti pellegrini che da secoli percorrono il Cammino cercano di conoscere se stessi e di riconoscere la Misericordia del Signore. E’ un Cammino difficile e stupendo che si srotola con le fatiche del corpo e le riflessioni della mente e con il Santo Spirito che un po’ alla volta pervade il pellegrino. E’ un’esperienza che personalmente vorrò compiere nuovamente senza assillo del tempo di rientro a casa e nella consapevolezza che conoscere il senso della vita e la bellezza della fede sono, come diremmo con terminologia moderna, valori primari: la vera essenza della nostra esistenza.
In valigia, ben riposte, tra le cose personali, ciascuno di noi 82 pellegrini sulle orme di san Giacomo apostolo, aveva collocato proprie intenzioni per voti e preghiere che abbracciavano la propria storia e quella dei propri cari.
Alcuni, certamente, si erano aggregati allettati dalle interessanti tappe culturali e turistiche.
Tutti, giorno dopo giorno, ci siamo sentiti sempre più pellegrini sperimentando la verità delle parole di don Ivan durante la prima Santa Messa celebrata a Vitoria, bella città della Navarra, cioè che l’andare del pellegrino “è un ritornare spiritualmente della memoria ai percorsi di fede, magari della giovinezza, che ci hanno scaldato il cuore.”
Forse per questo il non usuale clima con pioggia, vento e neve improvvisi che ci costringeva a somigliare a tanti “sacchi di immondizia ambulanti” non ha turbato il clima interiore personale e di gruppo che progressivamente ci coinvolgeva.
La speranza di caricare le batterie del cuore per rinforzare la nostra fede ha preso un ritmo scandito ed autenticato da intensi momenti di preghiera comunitaria in cui ciascuno, nel corso delle giornate poteva rispecchiarsi in maniera personalissima.
Uno sguardo dentro ed uno sguardo fuori, quasi sistole e diastole per cogliere gli effetti a sorpresa del capolavoro dello Spirito, la grandezza di Dio, incrociata ad ogni guglia come ad ogni piega del cuore che ci ha rapito, come tanti bambini, che fanno “oohhh”.
Il viaggio è fluito di tappa in tappa come la tavolozza di un pittore presentando colori accesi e distinti di mesetas, di neve o di camelie e sfumature di arte e di architetture ed altri colori di zaini, di mantelle, di conchiglie o di frecce che come per accogliere raggi di sole ci si aiutava ad individuare dalle nostre postazioni di turisti o di viandanti.
Incontrare i pellegrini ci ha emozionato tanto, ci ha fatto desiderare scarpe infangate che sperimentassero la volontaria, nascosta generosità di sconosciuti fratelli, ci ha fatto immedesimare nel camminatore che intuisce le profondità di un’umanità intorno a sé, che può risvegliarsi strada facendo e ci ha rinsaldato nel proposito formulato dentro il cuore e rinnovato davanti al crocifisso di Puente de la Reina rinnovando anche la speranza di un Dio che vuole trasformare le nostre vite come ha fatto in Maria o in san Giacomo.
Il pellegrinaggio ha avuto una bella anima. Spirituale e di …simpatia. L’occasione del compleanno di don Ivan è stata un’opportunità di allegria e di condivisione con torta componibile e una festa semplice, simpatica e coinvolgente (ne sanno qualcosa anche la cameriera incaricata delle luci o il portiere della reception..) piccola come le candeline disseminate tra i pellegrini, ma luminosa come l’affetto e la stima che si voleva regalare.
Un’anima spirituale alimentata da piccoli, intensi riti come il “sello”, il timbro necessario a certificare il cammino che si stava compiendo e che forse ha avuto una forza in più con il cero spento in mano nella chiesa del miracolo eucaristico, e acceso ed affidato a Santa Maria lo Real con in cuore la parola di Dio custodita gelosamente.
Nel cammino il sogno diventa segno, sia perché dietro ogni croce c’è la luce della resurrezione, sia perché, come ci ha detto don Ivan, man mano che ognuno porta la propria pietra la croce diventa più alta e visibile.
Se raggiunti dalla misericordia si diventa segno e si rende più facile il cammino agli altri. Dopo un pellegrinaggio non si torna a casa uguali. Il cammino rende possibile la scoperta che i nostri limiti non sono una smentita alla fede, ma la condizione essenziale per far risplendere la grandezza di Dio.
Se alla partenza i voti e le preghiere abbracciavano la nostra vita, all’arrivo, dentro quella buia, petrosa cattedrale tanto agognata, l’abbraccio era al santo apostolo e nel nostro allargare le braccia facendoci zaino umano alle spalle possenti e preziose di Santiago ognuno ha potuto accogliere come sigillo ciò che presso l’antico ponte, sui massi del fiume, in una religiosa commozione e preghiera abbiamo scoperto: Dio sta al telaio della storia, della natura e della nostra vita.